Futuribili: distopie e utopie - libertandreapapi

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Futuribili: distopie e utopie

Recensioni e segnalazioni
Proiezioni immaginative, tendenze avveniristiche, progettazioni futuribili. Ricerca e viaggi negli spazi prossimi venturi, coi loro baratri, stimolazioni desideranti e precipizi esistenziali.
20 luglio 2017
Il nichilismo umano, verso la "grande estinzione"


Leggendo La grande estinzione, articolo di Elena Dusi riportato qui sotto, ennesima tragica testimonianza di quanto sia nefasta la presenza della specie umana, sul pianeta terra innanzitutto, ma data la sua unicità direi anche nel cosmo, ho provato e continuo a provare un triste senso di grande vergogna.
Mi vergogno di far parte della specie umana e provo un grande senso di colpa per essere, mio malgrado, corresponsabile dei disastri che essa sta sistematicamente provocando da secoli, anzi da millenni, per il semplice fatto che c’è e agisce. Anche se personalmente non mi ritengo direttamente responsabile di un tale sfacelo, mi sento corresponsabile anche solo per il semplice fatto che non sono riuscito a trovare il modo d’interrompere tale stato di cose, per dare avvio all’inversione di marcia che, forse, permetterebbe ancora di salvare ciò che c’è rimasto. Che lo voglia o no, come del resto tutti e tutte noi, siamo parte a tutti gli effetti del sistema e del modo di pensare e di agire responsabili della rovina che stiamo vivendo e di cui siamo incontrovertibilmente causa.
Questo stato d’animo mi ha stimolato un sogno, anzi un incubo. Mi si è d’un tratto rappresentata una situazione per noi devastante. Giungevano sul nostro pianeta degli alieni extraterrestri, molto più forti di noi, molto più intelligenti e molto più avanti nella produzione tecnologica, particolarmente sofisticata e per noi incomprensibile. Considerandoci di molto inferiori a loro, come a tutti gli effetti lo saremmo, decidevano di ridurci a loro esclusivo strumento, schiavizzandoci e chiudendoci in allevamenti/lager dove saremmo stati costretti al limite della sopravvivenza, perché indotti a vivere solo per le funzioni da loro decise. Esattamente come noi facciamo per le altre specie animali terrestri che abbiamo sottomesso e ridotto in nostra esclusiva funzione. Una volta che ci avevano sfruttato per benino, non sapendo che farsene della nostra presenza, sistematicamente e scientificamente ci estinguevano perché non servivamo più. Una rappresentazione simile, seppur un po’ diversa, l’avevo letta qualche decennio fa in L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.
 Personalmente comincio a credere che se ci capitasse qualcosa di simile non sarebbe altro che un riequilibrio di giustizia. Sono sempre più convinto che non meritiamo l’eden meraviglioso, unico nell’universo, in cui ci troviamo collocati. Invece di usare il nostro talento e le nostre abilità per rendere ancora più belli e stimolanti i contesti in cui siamo ospitati, decidendo di rispettarli e facendo cose che non li violentino, la nostra spietatezza nei confronti di ogni cosa o altro essere vivente, su cui esercitiamo in modo efferato e implacabile il potere prepotentemente violento di una nostra presunta superiorità sono il fondamento del nostro esserci. Tutto ciò è di per sé un insulto alla vita e all’esistenza stessa di tutto ciò che c’è.
Nella sostanza siamo poi talmente stupidi che non solo massacriamo tutto ciò che non fa parte della nostra specie, ma lo facciamo anche tra di noi. Non abbiamo neanche un rispetto di specie. Abbiamo deciso che siamo divisi in razze differenti e quelle che si sentono superiori alle altre tendono a sterminarle, a volte nella storia riuscendoci anche. Quando qualcuno, o individuo o categoria o genere, dà l’idea di essere più debole, invece di aiutarlo, gli saltiamo addosso e sadicamente portiamo le sue sofferenze al livello massimo.
Ci siamo imposti, inizialmente l’uso, ora ridotto a perversa tirannia, del denaro. Finora non è stato necessario che a se stesso, fra poco non lo sarà neanche a se stesso, perché fra non molto la moneta circolante scomparirà per dare posto a icone elettroniche. Sempre di più è utile soltanto a che un’esigua minoranza di alcuni schiavizzi, all’occorrenza brutalizzi, tutti gli altri. Usiamo qualsiasi cosa che ci circondi indiscriminatamente, senza preoccuparci se serve a qualcun altro o se può esser utile per qualcos’altro, fino a distruggerla, danneggiarla e impoverirla. Niente ci ferma e niente ci commuove, se non quando subiamo un danno, sempre fra l’altro molto leggero rispetto a quelli che continuamente provochiamo.
Abbiamo creato una situazione totalmente innaturale e artificiale nell’illusione di sottomettere la natura. Non si capisce perché, se non per pura stupida cupidigia ... alla fine per non avere nulla. Il meccanismo perverso che abbiamo messo in moto, se non verrà fermato (e sono praticamente sicuro che continuerà imperterrito) trasformerà a breve (probabilmente qualche decina d’anni) il pianeta in un astro che non sarà più in grado di ospitare la vita nelle forme finora conosciute.
 Quando saremo scomparsi nessuno ci rimpiangerà. Anzi! Probabilmente l’universo intero, ammesso che se ne accorga, ne gioirà. Tutta “la materia” nel suo complesso cosmico ne gioirà, perché non ci saranno più “questi rompicoglioni di umani” che si erano illusi di padroneggiarla. Si calcola approssimativamente che nell’universo conosciuto ci siano circa 500 miliardi di galassie, ognuna delle quali è composta di circa 500 miliardi di stelle. Metaforicamente, ci sono più stelle in cielo che granelli di sabbia sulla terra.
Il nostro pianeta, che per millenni avevamo seriamente creduto essere al centro dell’universo, pure superbamente auto/convinti che l’universo stesso fosse stato creato in nostra funzione (pensate la boria umana già solo in questa “favolina” cosmogonica), è il terzo pianeta più piccolo di una delle stelle meno grandi ai margini della Via Lattea, la galassia di appartenenza, che non è certamente tra le galassie più grandi, anzi forse tra le medio piccole, e, se non erro, anch’essa un po’ ai margini dell’universo. Il che vuol dire che quando scompariremo non se ne accorgerà nessuno. È come se dovessimo accorgerci quando esplode un atomo nel nostro corpo.
Quando succederà, per la terra, diventata parossisticamente esasperata dalla nostra infausta presenza, inizierà un nuovo ciclo e si ricreeranno nuove forme/vita, difficilmente peggiori di quello che noi siamo stati. Allora noi non esisteremo più e non avremo lasciato memoria. Ma già da ora sappiamo che siamo un esperimento mal riuscito, da non ripetersi.
Andreapapi
 La grande estinzione

11 febbraio 2017
Songdo: Le nuove tendenze avviluppanti del dominio

Il dominio, quello vero che conta e ci condiziona tutti, oltre a distillarci quotidianamente un peggioramento costante delle condizioni di vita e relegarci in un limbo senza speranza, con più o meno sapienza sta approntando, neanche tanto segretamente, l’utopia del domani, cercando di erigerla secondo i suoi disegni e le sue finalità, quelle dichiarate e quelle occulte. È l’utopia del potere, che non è come la nostra, quella della libertà, ma il suo contrario.
Nel frattempo, chi per elezione dovrebbe contrastarlo procede inesorabilmente dentro percorsi di annichilimento progressivo. La sinistra in generale, infatti, continua a crogiolarsi nella sua attività preferita, il suicidio politico, alla ricerca disperata di un’inesistente capacità di governare l’esistente che l’affonda ogni volta di più. Le opposizioni più toste invece, quelle “dure e pure” che per scelta non perdono tempo con gli iter burocratico-istituzionali, continuano a cimentarsi, quando ne hanno voglia e ci riescono, nella ginnastica reiterativa delle lotte e dello scontro robusto col “potere”, in genere limitandosi a farlo con le forze dell’ordine.
Eppure in origine è stata proprio la ricerca dell’utopia, intesa come l’alternativa radicale all’esistente, ad aver dato vita alla sinistra e alle sue varie tendenze. Le lotte e la resistenza al potere si propagavano, mentre i compagni e le compagne diventavano eroici/he perché portavano in cuore la determinazione che i loro sacrifici avrebbero senz’altro contribuito al sorgere del “sol dell’avvenire”. Una tensione diffusa tra le classi meno abbienti e gl’indigenti, che si erano fabbricati la certezza di un “mondo nuovo” da costruire. Questo futuro d’indiscutibile speranza qualcuno se lo raffigurava in un modo, qualcun altro in un altro modo, ma tutti non avevano dubbi che sarebbe arrivato. Così era la tensione utopica, la costruzione sociale nuova e rivoluzionaria, che dava senso all’agire e al pensare, oltre che alle loro emozioni. Le lotte erano concrete perché erano l’espressione di un sentimento dilagante di riscatto sociale tra le categorie più deboli e reiette.
Oggi l’utopia, purtroppo, sembra essere scomparsa dall’immaginario sovversivo, che invece pensa di doversi occupare di cose presenti, di dover essere pragmatico. Si potrebbe dire che l’orizzonte sovversivo è passato in buona parte dalla dimensione utopica ad una supposta pragmatica, ma che purtroppo, nei fatti, ci sta inchiodando sempre di più a un presente che i nostri cuori vorrebbero rifiutare. Sottolineo purtroppo perché c’è una dimensione della tensione utopica che ritengo irrinunciabile per un immaginario sovversivo che si rispetti, soprattutto per le pratiche che dovrebbe determinare. È la dimensione del desiderio, del sogno non onirico, del bisogno di rappresentarsi il mondo diverso alternativo all’esistente, che non può non rappresentare la spinta irrinunciabile per la sovversione, indispensabile al superamento di questo presente sempre più ingiusto, sempre più invivibile, sempre più spaventoso, sempre più paradossale.
 Il dominio, soprattutto nella forma attuale che sa di vivere a breve termine trasformazioni radicali e profonde che ne muteranno proiezioni e qualità dell’esistere, invece si sta preparando a impostare la realtà a proprio uso e consumo, perché persegue la tendenza “innata” di essere sempre più invasivo, aumentando la propria capacità di controllo, sempre più capillare e asfissiante, su tutti gli individui che sorveglia e padroneggia. La rappresentazione utopica, sempre di più, è il nuovo orizzonte della metamorfosi in atto del dominio.
Songdo, la città dell’utopia tecnologica, che si sta costruendo in tempi record a 65 chilometri da Seul, una delle metropoli più popolate del pianeta con oltre 25 milioni di abitanti, è così la nuova avanguardia in costruzione della dimensione socio/spaziale del futuro in divenire. Una smart city (città intelligente) che si estende su circa 600 ettari strappati al Mar Giallo da Gale International, gigante americano delle costruzioni, pensata progettata e attuata come spazio sperimentale totalmente interconnesso, dove ogni movimento di ogni individuo viene raccolto e catalogato da potentissimi server in agguato costante.
Certo, a livello tecnologico è un vero e proprio gioiellino, lindo, pulito, non inquinato e non inquinante, reso operante dalle tecnologie più all’avanguardia e futuribili. Ma, come specifica bene l’articolo dell’Espresso qui sotto riportato, è “una sorta di immenso Panopticon postmoderno”. Il panopticon, o panottico, è un carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, che ha poi ispirato pensatori e filosofi come Michel Foucault, Noam Chomsky, Zygmunt Bauman e lo scrittore britannico George Orwell nell'opera "1984". È il controllo ideale e super efficiente per un potere che voglia ispezionare e disciplinare 24 ore su 24 tutto ciò che è sotto la sua giurisdizione. È il controllo per eccellenza, cui nulla sfugge e nulla può sfuggire.
Il futuro che ci stanno predisponendo ci accoglierà così in una dimensione in cui all’apparenza la tecnologia superinnovativa applicata si mostrerà al nostro servizio, supplirà automaticamente alle incombenze quotidiane e sarà rispettosa dei parametri ecologici.
In realtà noi saremo al suo servizio e super controllati dal nuovo orwelliano “grande fratello tecnologico”, il quale avrà la capacità di programmarci la vita e di controllare che seguiamo “felicemente” il “meraviglioso” percorso che ci predispone. La vera capacità di scelta, individuale e collettiva, che aveva forgiato le visioni illuministe che ponevano con forza il problema della libertà, tenderà a scomparire, per essere sostituita da possibilità di scelte pre/programmate e realizzabili in percorsi pre/disposti.
È un po’ come l’autonomia della pedagogia del potere sempre più in vigore nelle scuole istituzionali, una specie di “libertà vigilata” che tende a indirizzare per imparare a muoversi apparentemente nel modo più autonomo possibile, all’interno però di regole già date, cui non si può trasgredire e su cui non si può intervenire.
 Songdo, la “città intelligente” del futuro più prossimo che, nelle intenzioni di chi l’ha pensata e la sta attuando, spianerà le future prossime intelligenze “post/umane” che vi abiteranno, annullandone le capacità di autonomia e libertà di scelta, per interconnetterle a super server ipertecnologici in grado di programmare la vita di tutti con dolcezza e tecno/gradevolezza.
Andreapapi
 Benvenuti a Songdo, l’incubo perfetto

 
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