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La fobia della democrazia diretta

Pubblicato da Andrea Papi in De referendum · 5/4/2017 17:04:00
 Il fobico Bersani

La fobia della democrazia diretta
Il 29 marzo scorso, intervistato da Goffredo de Marchis per il quotidiano La Repubblica, riferendosi ai Cinque Stelle fra le altre cose Bersani ha detto: «Hanno la suggestione autoritaria della democrazia diretta». In realtà non m’interessa ciò che il signor Bersani pensa dei “cinque stelle”, mentre vorrei spendere due parole sul frettoloso giudizio che esprime, perché risulta un giudizio sulla democrazia diretta in quanto tale, tradendo una gran confusione, tipica dell’asfittico periodo che stiamo vivendo.
Soprattutto mi vien da ridere pensando che un tipico rappresentante di un partito, democratico senz’altro, ma derivato dal defunto partito comunista, che storicamente si è sempre contraddistinto per la sua grande impostazione autoritaria, si permetta di tacciare di autoritarismo, senza fra l’altro degnarci di un minimo di motivazione, modalità e approcci sorti per superarlo.
Molto probabilmente il Bersani connota con quella attribuzione cose che con essa hanno ben poco a che spartire, come appunto le famose consultazioni online dei pentastellati. Purtroppo oggi molti, troppi, la pensano più o meno allo stesso modo. Si aggira infatti una pervicace convinzione che referendum e consultazioni in rete siano ascrivibili tra le metodologie tipiche in tal senso, mentre, pur essendo molto in voga, hanno ben poco a che fare con un’autentica e coerente azione di democrazia diretta, soprattutto per come sono praticate e impostate.
Secondo ciò che propone Wikipedia, La democrazia diretta è una forma di democrazia nella quale i cittadini possono, senza alcuna intermediazione o rappresentanza parlamentare (democrazia rappresentativa), esercitare direttamente il potere legislativo. Sostanzialmente giusto, ma insufficiente, perché ristretto a praticabilità legislative esistenti. Il concetto originario ha invece un’ampiezza filosofica e libertaria molto più realistica in senso emancipativo e rivoluzionario. Non possiamo restringere la visione delle cose all’asfissia dell’esistente, pena il soffocamento delle possibilità di autonomia e dell’esercizio della libertà.
Il concetto di “democrazia diretta” fu pensato perché la democrazia applicata attraverso le rappresentanze istituzionali conduce verso società che ne contraddicono i presupposti originari. Com’è noto, o dovrebbe esserlo, demo/crazia significa “governo del popolo”, ovvero che il popolo mette in atto modalità di gestione attraverso cui da sé riesce a governare se stesso, altrimenti detto auto/gestione o auto/governo. Le forme della rappresentanza messe in atto dalla cosiddetta “democrazia rappresentativa”, conducono invece verso situazioni nella maggior parte dei casi esattamente contrarie alle premesse originarie. Il fatto che continuamente ci siano rivolte e proteste, anche forti e generatrici di sommosse, contro le decisioni imposte dall’alto degli organi rappresentativi è lì a dimostrare la veridicità di ciò che sto affermando.
Il problema centrale di tutta la questione è la decisionalità. Chi decide? Per conto di chi? Come si decide? C’è possibilità di controllo e intervento dal basso? Conta il popolo, sempre invocato da tutti? Sempre il popolo, si riconosce nelle decisioni prese a suo nome e per suo conto? È evidente che tutto ciò non sta avvenendo, né può, né vuole avvenire. Il popolo è solo un alibi per una pseudo/legittimazione al comando e all’imposizione politica dall’alto, cioè autoritaria. Quando ci sono un alto e un basso ben marcati nella loro differenze di posizione, come pure quando ci sono imposizioni d’autorità e sottomissioni repressive, la partecipazione, che in origine doveva essere la caratteristica specifica di ogni democrazia, risulta mera finzione, mentre il baratro dell’irrilevanza delle persone considerate comuni è la sostanza e la forma di ciò che è effettivamente essente.
Ecco allora diventa importante la scommessa della “democrazia diretta”, la quale, se tale, dovrebbe superare l’esistente e mettere in atto pratiche e sperimentazioni che riescono a rendere effettive la partecipazione e le decisioni collettive in cui si riconoscono tutte e tutti i componenti della società. La “democrazia diretta”, se c’è, dovrebbe essere il luogo, la topia effettuale, dove l’insieme della società si riconosce, con tutte le sue differenze le sue dialettiche e i suoi conflitti, trovando il modo di agire per il bene di tutte e di tutti, quello che da sempre è stato definito “bene comune”.
Mi sembra evidente che non ne fanno parte i referendum, nei quali si può apporre solo un si o un no su quesiti predefiniti, attraverso cui si consulta l’umore generale senza una vera valenza decisionale, dal momento che a decidere secondo costituzione è sempre il parlamento. Così è per le consultazioni online ed ogni altra consultazione dove si viene chiamati a esprimersi su quesiti definiti e dibattuti da altri per noi, dove il nostro si o il nostro no sono solo strumento di consenso. Sono momenti che ben poco hanno a che fare con ciò che ho identificato come pratiche di democrazia diretta.
Andreapapi




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