I percorsi egemoni che in questa fase stanno travagliando il mondo mi appaiono insopportabili e m’inducono verso tensioni di eremitaggio intellettuale. Ciò che si sta manifestando è sempre più orribile. Al contempo è talmente enorme nella sua rilevantissima quantità che m’ingenera un senso d’impotenza travolgente, spingendomi oltre ogni scetticismo possibile. Ho come l’impressione di essere inesorabilmente all’interno di una tragedia globale di dimensioni incommensurabili, che ci sovrasta e ci travolge, annichilendo con la sua inarrestabile veemenza ogni afflato umanistico e ogni possibilità di trasformazione verso orizzonti di tipo libertario. Stiamo veramente vivendo una trasformazione, la quale purtroppo marcia drammaticamente verso un ammasso di catastrofi, le cui entità a tutt’oggi sono ancora inimmaginabili, anche se del tutto supponibili.
Da tempo siamo immersi in un clima, generale e generalizzato, che non solo non favorisce, ma addirittura sabota, le possibilità di diffusione di comportamenti e modi d’essere di solidarietà sociale, insostituibile base per il sorgere e l’estendersi di società di tipo libertario, fondate cioè sulla libertà come base delle relazioni sociali. Nei momenti di sconforto mi sento travolto da un ammasso incontrollabile di marcati egoismi e di avidità, individuali e collettivi, che costantemente incoraggiano a ingannare, truffare, raggirare chiunque, indipendentemente dal ceto o categoria sociale di appartenenza. È come se lealtà e onestà fossero ormai disvalori, mentre impera un diffuso egoistico interesse meramente personale quale ambita meta.
So perfettamente, o penso di sapere, che tale situazione in realtà ha preso pienamente corpo e si svolge nei piani cosiddetti alti della società. Là dove allignano e agiscono politicanti di professione, arrivisti, spregiudicati avventurieri della finanza, imprenditori senza scrupoli, leccaculi e cicisbei del vasto sottopotere burocratico, delle ampie corruttele e delle filiere malavitose. Un territorio socio-affaristico cui non riusciamo a sottrarci, molto più ampio di ogni nostra più pessimistica supposizione, che tiene in piedi questa traballante e scomposta compagine sociale.
Ma subito dopo mi viene in mente che un tale mefitico assetto non potrebbe reggersi in piedi che per poco tempo se non trovasse ampie connivenze nell’insieme della società, se non corrispondesse in qualche modo a un immaginario desiderante molto, troppo, diffuso, se in realtà non fosse la realizzazione di tensioni e desideri, più o meno confessati, di un amplissimo spettro sociale di cosiddetti “normali cittadini”. A tutti gli effetti è la “servitù volontaria” di boetiana memoria, aggiornata e applicata all’oggi.
Di fronte a tutto ciò è ben magra consolazione constatare (o supporre ch’è la stessa cosa) che si tratti del frutto arci/malato di una sistematica educazione del “buon vivere” derivata da capitalismo, liberismo finanziario e liberalismo applicato in auge. Il “vivere comune” si è talmente de/eticizzato che è ormai considerazione condivisa, luogo comune diffusissimo, pensare e agire per procacciarsi denaro ad ogni costo e nel proprio esclusivo interesse. L’arricchimento e il benessere, o considerato tale, che da esso dovrebbe derivare sono lo scopo esistenziale preminente. Che poi ci si riesca o no non ha nessuna importanza. L’immaginario egemone è questo e condiziona al 100% ogni scelta o propensione individuale e collettiva.
Involontariamente il liberalismo applicato imperante è riuscito a mettere in auge un’ipocrisia di fondo che domina incontrastata. Il liberalismo si è profuso e continua a profondersi in nobili dichiarazioni, in stesure di costituzioni e trattati giuridici in cui si proclamano a pieno titolo la libertà e il riconoscimento dell’altro, del diverso, delle differenze e dei diritti, senza distinzione di razza o di credo religioso. Nei fatti, il liberalismo applicato imperante nega sistematicamente la realizzazione di ciò che afferma e sancisce. Parla di democrazia rappresentativa mentre i politicanti eletti in auge ormai non rappresentano che se stessi, addirittura in contrasto con chi li elegge. Parla di dignità del lavoro mentre le condizioni di chi lavora sono sempre più umilianti, deprimenti e vicine a nuove forme di schiavismo. Parla di estensione di diritti e di legge uguale per tutti, quando i diritti sono sistematicamente negati ai più mentre l’applicazione giuridica è immancabilmente fallace e generatrice di ingiustizie. Inoltre, fin dal suo sorgere parla di libertà e uguaglianza sociale, mentre le sue realizzazioni fanno aumentare continuamente disuguaglianze, ingiustizie e privilegi.
Parliamo di liberalismo perché è l’unico pensiero politico post/rivoluzione francese che ha vinto, si è installato ed ha avuto la possibilità di evolversi e ampliarsi, trasformandosi fino a rinnegare, con le sue realizzazioni, i presupposti fondanti che l’avevano distinto. Ma potremmo benissimo parlare anche di socialismo, che per tanti versi ha anch’esso avuto ampie possibilità di dimostrarsi alla prova dei fatti. Le due vie con cui si è proposto hanno entrambe egemonizzato la sinistra nel suo complesso, ma i fatti hanno ampiamente dimostrato il suo endemico fallimento.
La via rivoluzionaria, il bolscevismo, è tracollata nel 1989 con l’abbattimento del muro di Berlino, non sconfitta, sia chiaro, dall’imperialismo capitalista, ma implosa perché incapace a sussistere in quanto progetto socio/economico. I residui che ne sono in qualche modo rimasti, dal punto di vista socialistico, fanno accapponare la pelle. La Corea del nord appare come una farsa di se stessa, tenuta sotto la sferza di un dittatore “folle” che si diverte a giocare con le bombe atomiche per soddisfare le proprie manie di grandezza. La Cina invece, quasi un capolavoro dell’assurdità, è riuscita a coniugare ciò che fino a qualche decennio fa era impensabile, il peggio del bolscevismo col peggio del capitalismo, tenendo a forza in piedi un mostro generatore di illibertà, ingiustizie, privilegi e ineguaglianze.
La via riformista, l’opzione socialdemocratica, nata per realizzare lo stato socialista attraverso le riforme che avrebbero dovuto soppiantare, un passo dopo l’altro, lo stato borghese, aspirando a superare nei fatti il regime della proprietà privata e del mercato capitalista, è praticamente scomparso di scena. Pur essendo divenuto egemone in diversi parlamenti nazionali ed avendo ampiamente governato diversi stati occidentali, nel giro di qualche decennio è stato di fatto assorbito dallo stato “borghese” che avrebbe dovuto soppiantare e non è più in grado di proporre una propria visione delle cose. Gli ultimi vagiti della socialdemocrazia teorica, dopo aver riconosciuto l’ineluttabilità del capitalismo quindi il non senso a contrastarlo, straparlano di regolarizzarlo per tentare di renderlo meno iniquo o, ultimissime, di rinegoziare le regole per riuscire a salvare il salvabile del welfare che dovunque sta affondando. Di fatto il socialismo non esiste più come ipotesi socialista se non in certe frange criptiche e nostalgiche di un passato fallimentare, che sopravvivono nell’inconsapevolezza della sua improponibilità.
Di tutte le idee di emancipazione che si originarono nel fine settecento/ottocento, non ha tracollato solo l’anarchismo, rimasto ai margini e reso impotente, perché gli è sempre stato impedito ogni tentativo di realizzazione. Non potendo manifestarsi non ha potuto neanche far emergere i propri limiti. Ma guardando il clima generale che oggi si prospetta penso che sia proprio improponibile, come invece ci si era illusi per più di un secolo, ogni tentativo di addivenirvi attraverso una rivoluzione palingenetica, cioè quale evento risolutivo.
Ammesso anche, cosa di cui dubito con quasi certezza che non sarà, che si riuscisse ad abbattere un potere in auge, sono convintissimo che sarebbe poi quasi impossibile dare avvio a processi di emancipazione libertaria. Proprio per il clima sociale di cui ho accennato all’inizio. Se non in quantità del tutto irrilevante, infatti, gli esseri umani non sarebbero disponibili a praticare libertà e solidarietà sociale, proprio perché da troppo tempo sono abituati, quindi auto/educati, a vivere egoisticamente e in modo antisociale. La rivolta vittoriosa potrebbe servire se ci fosse la predisposizione collettiva a voler vivere la libertà. Ma nel momento in cui la predisposizione è praticamente all’opposto, la rivolta vittoriosa potrebbe al contrario innestare pericolosamente processi di feroce antilibertarismo e nuove oppressioni.
Ciò che potremmo realisticamente fare è approntare fin d’ora, dove si riesce, luoghi di sperimentazione libertaria che, oltre a sperimentare la libertà di relazioni più radicale e coerente possibile, siano anche e soprattutto luoghi di autoeducazione, individuale e collettiva, alla solidarietà sociale e alla lealtà nel rapporto tra individui. Ma anche praticarla nella quotidianità vigente, ovviamente nei limiti del possibile. Luoghi e pratiche da estendere e propagandare, tesi ad ampliarsi e non ad auto ghettizzarsi, perché la rivoluzione libertaria potrà diventare un fatto diffuso ed esteso soltanto se si estenderà la volontà e la mentalità di realizzarla veramente.
Andreapapi