Ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Turchia ha del grandioso. Un vero e proprio “colpo di stato”, attivato dall’opposizione a un “non/colpo di stato”, sta trasformando la natura di quello stato turco a impronta laica che Ataturk, il padre della Turchia moderna, aveva avviato circa un secolo fa attraverso una serie di riforme fondamentali dell’ordinamento della nazione. Il paradosso di questo divenire in atto è che il vero “golpe”, quello trionfante, si presenta come il “ripristino della democrazia”, perché sostenuto dall’appoggio del popolo, sceso massicciamente nelle piazze per riportare il tiranno al potere, quando era sembrato che per circa quattro ore gli fosse stato sottratto. Le prime notizie che giungevano ci dicevano che il presidente Erdogan aveva invitato i cittadini a scendere in piazza per ribellarsi ai golpisti, sostenendo «Continueremo a esercitare il potere democratico». Obama, Merkel e la Ue si sono subito schierati a favore del presidente. Oltre 2800 persone sarebbero immediatamente state arrestate (15 luglio).
Ciò che sta avvenendo lo ha definito con grande acume Nadia Urbinati: La democrazia dispotica. Una situazione in cui il dittatore, eletto a suo tempo democraticamente, e le sue strutture di conservazione hanno il consenso della maggioranza della popolazione, la quale consente brutalità e repressione efferate, applicate per realizzare un moderno califfato, più o meno mascherato. L’autocrate Erdogan, autore di questo blitz politico, ha da subito ostentato con arroganza la sua forza (Paolo Brera). Senza alcun pudore si sta dimostrando il despota che avevamo sempre sospettato da quando, forte dell’elezione che l’aveva “incoronato”, era riuscito a prendere in mano le redini ai vertici dello stato turco. Forte di una pilotatissima “volontà del popolo”, sta eliminando ogni opposizione, assieme a tutti gli insegnanti e i giudici che non si adeguano ad eseguire i suoi ordini dispotici (Paolo Gallori). Personalmente sono molto d’accordo con ciò che in un’auto/intervista sostiene Antonio Ferrari nel Corriere della Sera. Avanza con decisione il più che sospetto, una quasi certezza, che il “mini-golpe sventato”, come con ironia lo definisce, durato appena quattro ore, sia stato pilotato da Erdogan per rafforzare il proprio potere e per trasformare la natura dello stato laico ereditato da Ataturk, indirizzandolo verso un'accentuata islamizzazione, cioè attuare, anche costituzionalmente, una teo/crazia a impronta sunnita, che per ciò stesso diverrebbe leader nella regione medioorientale, da decenni scossa proprio da tensioni in tal senso. Di questo “golpe” che usufruisce di un “non-golpe” si è scritto e si sta scrivendo parecchio, giustamente ed anche con competenza, perché per diverse ragioni rappresenta una svolta enorme destinata a mutare per sempre la geo-politica, non solo del medio-oriente, ma in tutto il mondo. A me interessa in particolare per un aspetto su cui mi soffermerò qui in breve, che per esigenza di semplificazione chiamerò: la deriva della democrazia.
Ciò che sta avvenendo in Turchia è l’esplicazione nel concreto di un sistematico abbattimento del senso e dei valori conclamati dall’occidente, che fin da subito ha trasformato i sistemi politici a tendenza democratica in una finzione che ci sovrasta, la cosiddetta “democrazia rappresentativa”, che personalmente con sarcasmo ho chiamato “non democrazia” (La "non democrazia" in agguato). Ora è sempre più ridotta all’osso, mentre i valori su cui la liberal-democrazia di origine illuminista l’aveva pensata e fondata sono da tempo stati messi bellamente da parte, perché in realtà nessun uomo che sia al comando, o vi aspiri o presuma di esservi, vuole veramente la esaltata vera partecipazione dal basso. Non riuscirebbe ad esercitare il potere nei modi e nelle forme cui aspira e per cui ha chiesto e propagandato il consenso. Così sono stati messi in atto meccanismi e tecniche applicative che riducono al minimo la partecipazione reale dal basso, riducendola demagogicamente a “estorsione del consenso” per avere la legittimità a decidere e imporsi al di là dell’effettivo “volere popolare”. Così praticamente la partecipazione si è ridotta al mero momento del voto, che a sua volta si è ridotto a una mera squallida designazione degli uomini al comando, senza l’ombra di un mandato e senza effettive possibilità di controllo dal basso. Praticamente col voto ormai non scegliamo i “rappresentanti”, come continuano a gabellarci, ma i padroni, all’occorrenza i despoti, che devono inappellabilmente comandarci e imporci il “volere superiore” degli stati, oggi anche della globalizzazione.
È questo sostrato di fatto, continuamente perfezionato teoricamente dai vari intellettuali più o meno organici e sistematicamente propagandato dai diversi media all’opera, che ha preparato il terreno per cui, basta che venga eletto, può eleggersi qualsiasi oppressore autoritario che, avendo il consenso elettorale, esercita la propria dittatura, in genere sempre spietata, “democraticamente” legittimato. È quello che ultimamente è successo, per esempio, con Morsi in Egitto, eletto a maggioranza in nome dei “Fratelli musulmani” poi spodestato dal golpe militare del dittatore Al-Sisi, ed ora in Turchia con Erdogan.
Sono gli effetti di una sciagurata “propagazione della democrazia”, vanto dell’occidente, che, ridotta dallo stesso occidente a mero esercizio votaiolo, ha finito col metamorfizzarsi in una banalizzazione semplificatrice. Basta che si voti, si può votare a maggioranza anche uno spietato tiranno, che poi spolperà l’esercizio della democrazia fino al punto di eliminarla del tutto e trasformarla in un'autentica orribile disumana dittatura monocratica. Come si può anche solo supporre che una visione profondamente teocratica, come quella che sprigiona da un islam coerente e conseguente, possa in qualche modo essere assimilata da una concezione democratica, nata storicamente da una rivoluzionaria secolarizzazione che aveva affossato il tradizionalismo integralista del clero e delle monarchie? Ora gliel’abbiamo restituita in forma aggiornata e, temo, peggiorativa.
Alla faccia del progresso sociale di cui l’Occidente continua a vantarsi.
Andreapapi